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Angelo D'Amato

Nato a Walestadt (CH). Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la giuda di Gaetano Sgambati, Giorgio Di Genova, Adachiara Zevi e alla facoltà di Filosofia presso l'Università di Salerno, indirizzo estetico teoretico. Ha organizzato Manifestazioni di Notevole Interesse, ha partecipato a numerosi premi nonché a collettive e personali su tutto il territorio nazionale. Dal 2019 è cofondatore della Galleria Civico 23. Scrive articoli per il le riviste online "Lobodilattice" e "Il Vortice", è curatore del progeto artistico Stella in Arte, diciottesima edizione.

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Linguaggio dell'Arte Contemporanea

Invece di limitarmi a fare un elenco di quelli che sono stati i diversi linguaggi artistici degli ultimi decenni, unitamente all'operato di alcuni artisti considerati tra i migliori protagonisti della scena artistica internazionale, preferirei volgere lo sguardo ad alcune "tematiche" che come un fil rouge hanno tenuto insieme le più recenti esperienze artistiche. Questa scelta ricade principalmente sulla constatazione che essere un artista non vuol dire disporre di un linguaggio specifico su cui rivolgere l'azione del proprio lavoro. Oggi i giovani artisti simpatizzano con la pittura non meno che con il video o l'installazione, la loro libertà espressiva, la scelta deliberata di contenuti sociali, personali o semplicemente afferenti all'arte per l'arte, si denota nello scegliere di volta in volta un linguaggio piuttosto che un altro in relazione allo scopo.

Ancora un'altra considerazione, questa volta di ordine teorico-speculativo. Oggi più che mai assistiamo alla concettualizzazione dell'arte in termini filosofici, sorprendentemente però non è l'arte ad attingere alla filosofia ma, al contrario, è quest'ultima che riflette sulla possibilità dell'opera d'arte visiva di essere veicolo di conoscenza. Ed è proprio dalla filosofia, declinata secondo diverse soluzioni che la vedono protagonista specie sul fronte dell'estetica, ma anche dell'etica o dell'antropologia, da cui vorrei partire riprendendo da una mia indagine di qualche anno fa dal titolo "Arte e tautologia/oggettualità e concettualità nella cultura moderna". In essa si evidenziava, attraverso l'azione di teorici, scrittori e filosofi, come l'arte contemporanea avesse superato la soglia della rappresentazione tout court, dalla quale evidentemente traeva conforto, giungendo, addirittura, ad una forma di de-soggettivazione, ovvero ad una forma d'arte la cui funzione fosse quella di escludere ogni tentativo di autoreferenzialità ( in questo caso il riferimento è all'artista) per modularsi su semplici rapporti di dimensioni, parole ed immagini che escludessero tentativi di libera "intrusione", non essenziali per l'opera. Naturalmente stiamo parlando di un linguaggio che sottende l'uso dell'idea alla tecnica, come pure l'intervento attivo del fruitore a completamento dell'opera (il riferimento è all'opera concettuale di Joseph Kosuth, Sol Lewitt o Weiner solo per citarne alcuni). A queste forme d'arte, che oserei definire "fredde", si accompagnarono movimenti letterari come nel caso del Nouveau Roman dal sapore decisamente "oggettuale" di Robbe-Grillet o di Samuel Beckett nel suo ostinato tentativo di ridurre l'uomo ad una semplice estensione di arti nello spazio. Contemporaneamente è proprio in questi anni, precisamente nel 1971, che l'attenzione sulla forma determina un insieme di studi sul linguaggio artistico inteso come serie, studi che vengono pubblicati in un testo memorabile "La forma del tempo" di George Kubler. Il contenuto di questo piccolo saggio evidenzia alcuni concetti fondamentali: la serie come sequenza formale di opere d'arte; la ricomparsa di una sequenza non necessariamente disposta in ordine consequenziale ma ad intermittenza, dunque ripresa in periodi lontani tra loro per la prosecuzione di una determinata ricerca; il ruolo dell'artista "ridotto" a proseguire una sequenza formale in momenti storici favorevoli. Le conseguenze di questo studio non si faranno attendere se pensiamo che ancora oggi il concetto di progresso, o meglio di evoluzione, nelle arti visive è venuto meno a favore di forme ibride, astoriche di ricerca, che già negli anni 80', mi si passi il confronto, la Transavanguardia mostrava attraverso composizioni di chiara ascendenza "citazionista". Quanto all'artista egli non è il demiurgo, anticipatore dei tempi, ma talentuoso, e oserei dire perspicace, imprenditore di sé stesso, portato alla ribalta da una serie di coincidenze e momenti propizi.

Ma in tutto questo, a ben guardare, cosa ne è dell'aisthesis, che potremmo definire l'originario leit motiv dell'arte visiva? In effetti di "sensazione", "sentimento" e "percezione" dovremmo parlare dal momento che, in particolare negli ultimi decenni, la percezione, intesa nell'ottica di un coinvolgimento di tutti i sensi, è ritornata ad essere protagonista dell'arte attuale. Una percezione che, lungi dall'essere rivolta alla sola ricerca scientifica, ricade al di là dello steccato in una dimensione che abbraccia temi non usuali, irriducibili ad una identità, ambivalenti e perturbanti. Siamo nell'ambito della "differenza", inconciliabile, per ritornare alla filosofia, con il giudizio kantiano o la sintesi hegeliana, in una dimensione di impurità tipica di una società alle prese con le ambiguità di genere, con forme ibride di rappresentazione, con la morte: al limite del paradossale una "differenza" che oggi appare alle prese con qualcosa che non è più arte o comunque che non somiglia necessariamente a quello che noi normalmente individuiamo come arte. Infatti l'arte "relazionale" o la generazione "post-human" si spingono oltre, stringendo alleanze con altri modi di rapportarsi con il pubblico, coinvolgendolo direttamente oppure rendendolo cosciente di un processo di trasformazione che lo vedono protagonista a partire dal terzo millennio (dominio cibernetico, globalizzazione selvaggia, nuove tecnologie dell'informazione, ecc). Anche qui occorre fare un passo indietro e ricordare Jean Baudrillard che preconizzava l'avvento di un'arte "immateriale", accessibile attraverso immagini/simulacro ottenute dalla ripetizione e dal gioco inconsulto dei rimandi codificati. Un'arte che potesse sostituirsi alla realtà dal momento che quest'ultima esiste solo come rappresentazione senza alcuna possibilità di contatto vero, tangibile. Quello che si vuole far intendere nasce da un mondo, quello della tecnologia, dei codici e degli algoritmi che hanno imposto un rapporto sicuramente meno carnale e più "in differita" con ciò che ci circonda. È anche se da un lato l'arte contemporanea sembra denunciare tutto questo, dall'altro ne appare fortemente condizionata poiché anch'essa subordinata agli stessi standard di produzione e diffusione.

In ultima analisi vorrei porre l'attenzione su un altro fenomeno che già dagli anni 90 si affacciava sulla scena internazionale, questo fenomeno è quello del multiculturalismo. Figlio della globalizzazione il multiculturalismo è stato sempre di crescente attualità se si considera come l'incrocio di culture diverse sia diventato elemento di qualità e di straordinaria interazione tra popoli di diversa provenienza. Artisti provenienti dall'Africa, dal Medio Oriente, dalla Cina o dal Giappone hanno dialogato tra loro in mostre e manifestazioni di grande interesse. In queste mostre folklore e tradizione, naturalmente declinate al contemporaneo, hanno intessuto rapporti di ricerca che vanno ben oltre i confini tracciati da un onnipresente culturalismo occidentale.

 Questo annuario è la prova evidente di questa attività interculturale, si fa portavoce di uno scambio ormai cominciato da anni ma ancora in pieno svolgimento. Agli artisti non possiamo che rivolgere un ringraziamento per la straordinaria versatilità mostrata in una attività difficile e complessa come quella dell'arte contemporanea.

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