
Angelo D’Amato
Nato a Walestadt (Svizzera) il 28 aprile 1970, vive e lavora a Salerno. Ha studiato all'Accademia di Belle arti di Napoli sotto la guida di Gaetano Sgambati, Giorgio Di Genova, Adachiara Zevi. Insegna arte presso la scuola secondaria ed è tra i fondatori della galleria d'arte contemporanea "Civico 23". Da alcuni anni è redattore di una rivista in scatola, contenente opere di artisti nazionali ed internazionali, nata dall'omonima galleria di Salerno. Ha partecipato a numerose iniziative su tutto il territorio nazionale. Ha collaborato a diversi progetti espositivi in partnerschip con la galleria A60 e con l'esposizione annuale "Stella in Arte" di Stella Cilento (SA). Scrive articoli per la rivista online "Il vortice" e, occasionalmente, con altre riviste d'arte contemporanea (Lobodilattice). Il suo lavoro è indirizzato verso una ricerca semiotica dei linguaggi nell'ambito dei Visual Culture Studies.
L'Arte Oltre la Modernità
La querelle sul superamento della modernità, per quanto anacronistico possa sembrare, resta ancora di grande attualità o, perlomeno, serve a decretare quanto la cultura contemporanea, e l'arte nello specifico, abbia voluto nel corso degli anni (dalle prime avanguardie del novecento) allontanarsi da regole e dettami istituzionalizzati, ovvero, detto altrimenti, abbia voluto porsi in aperta discrasia con una società politicizzata e uniformante. L'arte da sempre rompe con la tradizione e si spinge oltre essendo ormai parte integrante di una "estetizzazione della vita". Sulla scorta di quanto era accaduto nell'arte del primo novecento con le neoavanguardie il desiderio di ribellione e di conversione riecheggia in forme espressive assolutamente inusitate: performance, land art, azionismo, fotografia ecc. Con il superamento, o presunto tale, delle neoavanguardie siamo ad un passo dalla situazione attuale dove si assiste ad una an/estetizzazione del sentire come ultimo atto di un sistema dell'arte proteso al consenso globale attraverso i media. Il senso dell'arte nato come esperienza utopica di trasformazione e cambiamento oggi è superato, l'arte diventa protagonista di una comunicazione in alcuni casi senza oggetto di riferimento, senza un rinvio tangibile al "mondo" che la giustifichi, rendendosi sempre più "opaca" e liberamente interpretabile agli occhi del fruitore. È che dire delle istituzioni deputate alla conservazione ed esposizione delle opere d'arte contemporanea? Anche qui si è immersi in una realtà protesa più all'intrattenimento piuttosto che alla contemplazione. Le ambientazioni con le quali le opere dovrebbero dialogare si modificano, diventano luoghi dell'effimero per una strana incompatibilità dei ruoli: l'opera, che spesso si fa installazione, male si accorda con lo spazio circostante perdendo gran parte della sua efficacia. Naturalmente tutto questo non rientra necessariamente in una critica negativa alla contemporaneità, piuttosto ne delinea il cambiamento cercando di evidenziare quali fattori abbiano potuto determinare quella che oggi potremmo definire, parafrasando il noto titolo del libro di Guy Debord, "l'arte dello spettacolo". A tutt'oggi alla luce dei profondi cambiamenti nati in seno al contemporaneo (ricordiamo il "caso" ready made) ci si chiede cosa possa essere considerato arte e cosa no.
Tuttavia possiamo, a rigor di logica, affermare che invece della domanda "che cos'è l'arte" occorre chiedersi "quando è arte". È innegabile che questo passaggio da una funzione all'altra determini un cambio di passo non trascurabile: a farcelo notare è Nelson Goodman che nel suo testo When is art?, appunto, prospetta un'indagine in cui l'opera può ritenersi tale solo se funziona, ovvero se possiede delle particolari caratteristiche che la rendono tale. Insomma un'opera d'arte contemporanea che simbolizza esemplificando alcuni caratteri di forma, colore, testura, dialoga con ciò che la circonda e con le persone interessate a confrontarsi con lei, entrando in una "dimensione estetica" che in un contesto diverso e di conseguenza con un approccio diverso (una galleria invece che un museo, una piazza piuttosto che un centro commerciale, uno spazio sociale invece che in un appartamento), forse, sarebbe improponibile.
Oggi gli artisti, quelli per cui l'arte ha una funzione fondamentale di comunicazione e formazione, scelgono di mettere in mostra le loro opere in modi diversi, non necessariamente in gallerie, né in musei o luoghi deputati all'arte, ma, come nel nostro caso, attraverso un Annuario, "luogo" di scambio e di confronto, summa di tendenze e ricerche, dalla pittura alla fotografia, passando per l'installazione e la video arte. Ma attenzione, proprio in base alla disposizione di ricercare nell'opera non una giustificazione che la riconosca come arte ma un insieme di parametri, psicologici, costruttivi, ambientali, intenzionali, necessari affinché venga considerata arte, allora appare plausibile "leggere" le opere presenti in questo Annuario non in termini di classificazione, di generi diversi, ma come linguaggi che instaurano con il mondo una comunicazione "politica", ovvero attraverso un dialogo a volte intimo, altre volte plateale, di sensazioni, idee, provocazioni e riflessioni che ci spingono a riconsiderare l'arte e i suoi simboli in termini di creazioni di mondi e non di semplici riproduzioni spesso separate tra loro, ciascuna nel suo genere. Ecco forse è questo che all'arte non si può negare, insomma nonostante la tanto decantata "morte dell'arte", la creatività, resa in ogni sua forma, rimane un potente mezzo di trasformazione, di testimonianza di un cambiamento sociale ineludibile.
Quello che appare evidente attraverso gli artisti presenti nell'Annuario è una straordinaria tendenza alla contaminazione, alla possibilità di ampliare la potenzialità dell'immagine con elementi eterogenei, spesso non appartenenti al mondo dell'arte, in senso tradizionale. Questa possibilità è ormai diventata parte costitutiva del contemporaneo, con l'intento preciso di superare quella modernità, ancora troppo legata al mito darwiniano del progresso, per dirigersi verso una creatività che, in altre occasioni, ho preferito definire "impura".