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Cristiano Pallara

A volte ci si chiede cosa si possa provare davanti ad un'immagine, ad un oggetto particolare, davanti ad un paesaggio o, altrimenti, all'interno di un ambiente che si reputi particolarmente suggestivo. Non è la solita domanda, spesso scontata, che prevede una risposta impersonale, direi semplicemente descrittiva, di ciò che ci sta davanti. Evidentemente c'è dell'altro dal momento in cui, al cospetto di determinate "visioni", ci si sente investiti emotivamente da una condizione del tutto inaspettata. È in un rapporto dialettico con ciò che ci circonda che ci sentiamo rapiti, senza volerlo si capisce, da una sensazione di piacere, di incanto, oppure di angoscia o, peggio, di frustrazione. Non si tratta di uno sguardo innocente, come ci ammonisce Gombrich, ma di uno sguardo profuso di quel piacere di vedere che all'inizio sembra non dettato da scelte preordinate, da conoscenze pregresse, anche se in seguito il pensiero e con esso il sapere interverranno a mettere un po' di ordine alla "confusione" tipica di una visione istantanea. L'operazione testé descritta ci fa oscillare, come già Lyotard asseriva, in una dimensione tra pensiero e sensazione. È una zona liminare in cui entrano in gioco il vissuto personale fatto da scelte, affetti, ricordi un po' sbiaditi, sensazioni attuali. Queste considerazioni seguono il passo di uno dei più eminenti storici dell'arte nonché filosofo Georges Didi-Huberman. A lui l'artista Cristiano Pallara sembra essersi rivolto specie se consideriamo il titolo della sua personale "Conoscenza Accidentale", ripreso, appunto, da uno scritto del filosofo francese. L'incipit della mostra prende spunto da un viaggio identitario fatto di immagini apparentemente slegate tra loro che esercitano, ciascuno a suo modo, una particolare forza intensiva, come mostrano momenti apparentemente insignificanti ma in sé colmi di un forte fascino evocativo. Immagini gravide di sensazioni diverse in un contesto topologico, dove foto/pitture rimandano ad un caleidoscopio di gesti, sorrisi e oggetti.

A queste considerazioni e rimanendo ancorati al pensiero di Didi-Huberman allargherei i termini del confronto con la ricerca di Pallara, accennando alle cosiddette immagini/sintomo. Le pitture dell'artista si articolano su un rapporto complesso ma affascinante che richiama ad un "tempo dello sguardo" dove rappresentazioni e simboli perdono quella stabilità, o se vogliamo quell'identità cristallizzata, per offrirsi al continuo cambiamento poiché sono fatte di quella materia che, inevitabilmente, ci induce a riflettere sulla capacità della pittura di creare "montaggi", la cui caratteristica è quella di mutar pelle ogni volta, grazie ad improbabili accostamenti che in alcuni casi sfuggono al controllo razionale dell'artista. Immagini simbolo che seguono una temporalità affettiva, più che cronologica, all'interno di montaggi sensibili, appunto, che ci portano a riflettere su forme derivanti da altri tempi e altri luoghi. Il gesto pittorico dal canto suo offre questa possibilità interpretativa, infatti le figure-di Pallara, slabbrate piuttosto che definite, essenziali e a tratti abbozzate, alludono tanto al suo vissuto personale quanto all'interpretazione del fruitore che vi può leggere momenti della sua storia all'interno di tracce che divengono patrimonio comune della collettività. Il viaggio stabilito dall' artista acquista i connotati dell'avventura dove lo sguardo, orientato, focalizzato, pone in discussione ogni certezza e si lascia condurre nel mare dell'improbabile e dell'effimero.





FANTASMA
Olio su carta Fabriano, cm 15 x 15, 2022
Testo di Angelo D’Amato

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